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“Dev’essere una specie di limonata.”

[Solveig assaggiando lo champagne]

_Il pranzo di Babette_

“Il vino corretto con l’aceto”

“Cretino, cretino, oh che cretino!”.

[Pierre apostrofando Brochant]

_La cena dei cretini_

 

A Ivo Zoffoli,

per la gentilezza e la generosità dimostrata.

 

– Sabato 1 aprile 2017 – Brisighella (RA) –

Ho il presentimento sia il classico pesce d’aprile fino a quando non vedo il mio nome nei segnaposti.

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Sono stato davvero invitato.

Ma aspetta un attimo…

..ecco ci siamo…

Hanno organizzato il “pranzo” dei cretini. Mi guardo in giro. È fatta. Sono io.

“Al tavolo da poker, se non individui il pollo nella prima mezz’ora, significa che il pollo sei tu” (Rounders – Il Giocatore)

Non che mi diletti a costruire la Torre Eiffel o altri monumenti con i fiammiferi come François Pignon, ma davanti a cotanta abbondanza di vino e saggezza non so proprio come giustificare la mia presenza.

Entro con timidezza.

Non c’è San Giuseppe ad aprirmi i cancelli di questo paradiso ma Ivo Zoffoli, il gentilissimo padrone di casa, che mi saluta cordialmente e sorridendomi mi invita ad entrare e già mi sento più a casa.

È tutto un trucco, penso, stai attento.

 

– I Personaggi-

Ivo non ha una cantina. Ha un eremo, una chiesa, una cattedrale del vino i cui entrare in punta di piedi e in religioso silenzio.

C’è Marco, c’è Ivo, ci sono Lorenzo, Massimo Andrea, Francesco, Andrea, Gabriele, Claudio….

Giornalisti, distributori, degustatori, produttori e appassionati, con bevute alle spalle da farmi girare la testa.

Provano subito tutti a mettermi a mio agio.

Premetto subito.

Io dei vini che erano in degustazione non avevo mai nemmeno lontanamente assaggiato nulla ma neanche da lontano. Li conoscevo certo, per fama. Chi non li conosce???

Mi metto a osservare e ascoltare.

I commensali parlano con tranquillità delle bottiglie che andremo a degustare. Danno del tu a questi mostri sacri parlando di quella o quell’altra annata. Capite??? Io sono al mio primo assaggio e loro che si muovono tra le annate confrontandosi sulle differenze.

Sono in estasi guardando Marco (in arte VINOGODI, scrive solo per Doctor Wine di Daniele Cernilli ‘na cosetta da gnente”) che apre tutte le bottiglie della batteria.

Fuoco alle polveri.

Inizia una vera e propria sfilata edonistica di cibo e vino.

Il pranzo è regale. Niente brodo di tartaruga e nemmeno blinis Demidoff come nel Pranzo di Babette, siamo pur sempre a Brisighella.

Scorrono davanti a me delle invitanti schiacciatine al pomodoro insieme alle crescentine con squacquerone e salame del contadino.

In batteria ci attendono una cosa come 13 vini ma perché non aprire qualche bollicina?

Ed ecco che la Francia inizia a mostrarsi e pavoneggiarsi in tutta la sua bellezza.

*Champagne Olivier Grand Reserve Magnum: le labbra si bagnano, i nervi si distendono. Piacevolissimo, agrumato e tutto l’universo della frutta bianca. Una pesca appena raccolta dall’albero. Acerba e dissetante.

*Champagne Pommery Rosè. Un falso rosato per accompagnare la mortadella di Pasquini. Fine, pulito, buonissimo che ci apre ad una conversazione rilassata.

Nel mentre arrivano anche dei commoventi crostini al fagiano.

*Champagne Michel Genet 2008. Una classe e un’eleganza fuori dal comune. Un vino vanitoso, che ti obbliga a rimettere il naso nel bicchiere più e più volte. Bevibilità eccezionale.

“Che entri il risotto”…Sua maestà Risotto al germano reale.

Ci sediamo. Marco ha già servito la prima batteria e rimango in estasi guardando tutte quelle declinazione di colori, impaziente di degustarli e farli miei, farli diventare parte di me stesso, conscio di essere ad un momento fondamentale nella vita di un degustatore.

*Grand Echezeaux Louis Latour 2003: mi è difficile partire proprio da qui perché è stato un amore a prima vista, una cotta adolescenziale, che ti fa annullare tutto il circostante e che mi ha sconvolto fino alla fine del pranzo. Il pinot nero, il principe, la divinità, che in questo caso si fa uomo e, discendendo dal dal Monte Olimpo, si accomoda sonnecchiante sul divano con la vestaglia. Stile bohème, affascinante nella sua maestosa presenza scenica. Un signore risoluto magnificamente borgognone. Al naso si gioca sui terziari. Una tecnica enologica sublime che potrebbe fare storcere il naso ai paladini duri e puri del pinot ma anche per loro sarebbe impossibile non riconoscere la moltitudine di sentori e le sfaccettature di frutta macerata. In bocca è rotondo, vellutato, con una freschezza commovente. Un vino di una purezza adamantina e con una persistenza di straordinario lindore. “Rettitudine e felicità si sono baciate”, così disse il generale durante il brindisi al pranzo di Babette. Ecco questo vino è la sintesi di questo concetto. Rettitudine enologica data dalla genialità del vigneron e l’avvedutezza del negociant insieme ad una piacevolezza esaltata proprio da quella vestaglia e quella postura rilassata, spogliata da un’austerità e un formalismo che sarebbero fuori luogo. Espressivo e curioso.

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Si continua. Sono ancora rapito, disorientato ma dobbiamo proprio farlo.

Sto per riprendere i sensi quando dei tordi e dei merli in casseruola vengono portati al tavolo. Ed ancora i colombacci al tegame.

Troppa grazia.

*Biondi Santi 2010 è la prova che la famiglia con le sue tradizione ci sono ancora e non hanno alcuna voglia di cambiare. Il vino più giovane della batteria ed anche il vino che, nel corso del pranzo, ha avuto la più importante evoluzione nel bicchiere. Si fa scoprire piano ma lo fa con potenza. È quasi un infante ma è già succoso, energico con una trama tannica che ti fa capire la giovane età ma senza fartelo pesare. Irruenza, spavalderia con un frutto croccante ed un finale molto lungo.

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A questo splendido sangiovese ne seguono altri due:

*Pergole Torte 1994

e

*Percarlo 1999

Il primo ha un naso impressionate. Un profluvio di sentori che vanno dalla liquerizia ad una scia balsamica anche difficile da scansionare: un po’di tabacco, forse il tamarindo. Bouquet ampissimo, con un naso troppo bello, tanto che in bocca tutta questa complessità non la ritrovo, ma non potrebbe essere altrimenti. Complessità al naso e bevibilità in bocca.

Il secondo e ultimo sangiovese di questa batteria è un autentico macigno. Al naso si passa da un sottobosco con sentori di corteccia fino ad un finale di caffè, tabacco e cioccolato. Il legno qui si fa sentire prepotente. In bocca mantiene tensione ma una tensione controllata. Tutto in questo vino sembra sul punto di esplodere e invece mantiene il suo corso senza straripare.

Tre sangiovesi diversissimi ma, per un motivo o per l’altro, si abbinano splendidamente alla tavola. Ed è questa la grandezza. Mai una complessità o una potenza fine a sé stessa. Una bellezza che si traduce sulla tavola e non si lascia banalmente solo osservare algida e inerte.

*Sassicaia 2003. Ve bé che dire. Il più celebrato, il più ricercato, non mi stupirei se fosse inserito nel tricolore italiano. Il naso mi dicono che sia quello classico (non ne avevo mai bevuto neppure un goccio), peperone, ma viene fuori anche un originalissimo aroma di buccia di arancia o forse mandarino. In bocca entra un po’ sgrammaticato. Guardo i commensali. Tutti frenati nei giudizi. Sarebbe come parlare male di Pertini, o di Mastroianni o di Del Piero. Un po’ di imbarazzo. Forse un’annata difficile, forse la bottiglia ha avuto qualche problema, forse le aspettative sono sempre altissime. Non so. Non convince troppo. E mi fermo qui perché che diamine ne so io???? e anche perché, come dice l’adagio, la cosa peggiore che può capitare ad un genio è essere compreso. Forse è proprio cosi. Il genio spesso incappa in cadute: raggiunge vette precluse ai comuni mortali e poi scivola indifferente, persino compiaciuto, nella nicchia rassicurante della banalità.

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*La Mission Haut Brion 1996. Francia. Bordeaux. E mi viene in mente Sartre: “il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico. Le passioni lo dilatano, le cose a cui aspiriamo lo restringono, e l’abitudine lo colma”.

Perdo completamente il contatto con il tempo e con il luogo. Al naso ci sono note piraziniche. Certo che ci sono e vorrei anche vedere…è un 1996 capite? Molti miei coetanei sono fidanzati con ragazze che sono nate nello stesso anno, e per dirla tutta molte di loro non sono cosi brillanti come lo è questo vino e molte altre non si sono mantenute altrettanto bene come questo vino (battuta inutilmente sessista e nonnista solo per abbassare il livello dell’articolo, peraltro già bassissimo).

Cerco di riprendermi e anche riappacificarmi con il gentil sesso.

È un vino dandy, elegante e profondissimo.

“Scusa ma a cosa servono i fazzoletti? Non l’ho mai capito.”

“Sono essenziali, e il fatto che la tua generazione non lo sappia è un crimine. Il motivo più valido per portare il fazzoletto è per prestarlo…Le donne piangono. Il fazzoletto è per loro.

L’ultima vestigia di un vero gentiluomo.”

Tutto questo lo ritrovo nel vino.

Setosità, eleganza, buone maniere, finezza, forse con un eccessivo distacco elitario. Al naso corteccia, cera, smalto e una nota vegetale. In bocca i fuochi d’artificio. Una persistenza senza soluzione di continuità. Da applausi.

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La degustazione potrebbe anche terminare qui tra grida di giubilo della folla urlante in delirio, ma un Dio benevolo (Ivo) mi concede altri assaggi e altre “discese ardite / e le risalite / su nel cielo aperto / e poi giù il deserto / e poi ancora in alto / con un grande salto…. (Lucio Battisti >Il Mio Canto Libero (1972) >Io Vorrei.. Non Vorrei.. Ma Se Vuoi..)

 

Entra la lepre in salmì. Ma che davero????? (Scusate se dopo Battisti faccio entrare la lepre)

Polenta fritta, porcini fritti e patate arrosto. E vabbè….

“Marco Vinogodi” annuncia le prossime tre degustazioni. Lui li chiama i “vini vecchi”

*Gaja Barbera d’Alba Vignarey 1985. Come sopra, quando ho parlato delle ragazze giovani anche qui due parole le spendo. La vendemmia e l’imbottigliamento di questo vino è avvenuto 3 anni prima della mia nascita. E già questo a me fa sempre effetto. I miei coetanei (si sempre quelli che vanno con le 96’) non sono belli come lo è questo vino. Noi di Never Wine Alone facciamo ancora il fuoco ma in giro male male…

Tutte le spezie orientali in un calice. Prugne, marasca. Un vino emozionante, sferico difficile da decifrare con una potenza mai doma. Austero ma gentile: “E tu, piano, posasti le dita / all’orlo della sua fronte: / i vecchi quando accarezzano / hanno il timore di far troppo forte.” (Fabrizio De Andrè >La Buona Novella (1970) >Il Sogno Di Maria). Un finale barricato: cioccolato, vaniglia e caffè.

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*Barolo Barisone 1971 Osvaldo Barisone. “I nati nell’ottantanove hanno reflex digitali e mettono su flickr belle foto in bianco e nero. / I nati nel sessantanove fanno i camerieri al centro e scrivono racconti, ne hanno pubblicati due. / I nati nel settantanove suonano in almeno due o tre gruppi e fanno musica datata. / I nati nel cinquantanove tengono corsi di teatro e quando va bene si rimorchiano le allieve. / Le velleità ti aiutano a dormire quando i soldi sono troppi o troppo pochi e non sei davvero ricco, né povero davvero, nel posto letto che non paghi per intero.” (I Cani > Il sorprendente album d’esordio dei Cani).

Vino ancora perfettamente integro con ancora una bevibilità da fare impallidire questi giovani rampanti di oggi che vogliono tutto e subito. Gli elementi ben amalgamati e con spigoli dolci. Balsamico, terra di sottobosco bagnata e mineralità.

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*Barolo Ceretto Riserva Speciale 1967. Un granato mattonato, un po’scarico ma ancora brillantissimo. Al naso il pellame, il tabacco da sigaro e un’acqua di rose della nonna dimenticata nell’armadio del bagno da tanto tempo. La bocca in sottrazione con un understatement quasi ostentato. Ceretto era veramente un fottuto genio.

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*Ronco delle Ginestre 1982. E qui il silenzio si impadronisce della sala.

“ah quindi questa è la Romagna?” “ah davvero?” “quindi anche a Brisighella si possono fare questi vini?” “il regista Baldi” “il primo vero sangiovese di Romagna”

Noi di provincia con questa fissa di ricevere una legittimazione che sia culturale, intellettuale o sociale. Grazie a Baldi, a Ronchi di Castelluccio a Ronco delle Ginestre, Ronco Casone, Ronco dei Ciliegi, Ronco del Re, l’abbiamo ottenuta, avevamo la grandezza senza rinunciare alla nostra identità. Il mondo del vino negli anni 80/90 si era accorto di noi.

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La cosa che più mi stupisce è che questi appassionati e conoscitori qui al tavolo non sono di Brisighella e solo tre sono Romagnoli, eppure parlano di questo vino come si parla di cose leggendarie, sussurrando questo o quell’aneddoto, scomodando anche Veronelli che li amava. Ne parlano come un segreto da custodire scambiandosi a bassa voce sensazioni ed opinioni dato che è rarissimo trovate annate così datate.

Un vino di Brisighella, dimenticato dall’Italia, che nella sua veste anni 80 mette in riga tutti i sangiovesi toscani degustati in giornata e non lo dico per sterile campanilismo.

Perfetto. Rotondo, morbido di caratura superiore. Complesso, con tutta la dolcezza del frutto dei migliori sangio. Chiudendo gli occhi mi sembra di vedere i Tre Colli  e Via degli Asini e Pieve Thò.

Cazzo ma quindi non esiste solo la toscana per il Sangiovese. Buono a sapersi. (Già lo sapevo). Un vino ancora carico di prospettiva proprio come lo è la Romagna.

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Questa automasturbazione paesana viene “interrotta” dall’inconfondibile aroma del Parmigiano Reggiano. 40 mesi di stagionatura accompagnato con una splendida con mostarda viadanese.

Sono saturo di sensazioni quando succedde questo:

Raramente, nella vita di chi degusta o nella vita di chi si occupa di vino, si ha la fortuna di essere presenti ad un momento così importante.

Apertura del Vin Santo Diletti 1917.

100 anni di silenziosa attesa nella cantina di Ivo.

La prima guerra imperversava e sapienti mani vendemmiavano e imbottigliavano.

Da notare il colore. Dopo cent’anni. Un giallo oro senza cedimenti.

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“I commensali, seguaci di una vita priva di piaceri, saranno letteralmente sedotti ed inebriati dal pranzo che Babette – è proprio lei la cuoca del Café Anglais, ma loro non lo sanno – ha voluto organizzare per poter nuovamente esprimere il suo talento di artista. Pur evitando ogni commento sulle vivande ed eludendo i commenti entusiasti del generale, trovano la forza per superare le discordie che li dividevano, arrivando alla fine a danzare tutti insieme tenendosi per mano sotto il cielo stellato, prima di riguadagnare le proprie abitazioni.”

Questo succede all’assaggio di questo nettare sublime. Duemila anni di linguaggio umano ed è impossibile definire e descrivere questo vino di cento anni.

Uno naso sconcertante con un profluvio di incensi, cenere spenta, agrumi, miele d’acacia. Una finezza estrema non progettabile, non ottenibile per via enologica. In bocca la moltitudine. La dovizia di frutto, quasi una macedonia si intervalla alla mandorla. Un vino mito che migliora tutto ciò che ci circonda, compreso noi stessi.

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Una degustazione difficilmente ripetibile. Sensazioni uniche.

La lentezza dei gesti, nel degustare, nel sentire mentre fuori il mondo esplode e corre senza uno spiraglio di ferma riflessione.

Questo penso sia la magia del vino. Rallentare tutto e perdersi nei propri pensieri, nelle proprie rovine interiori e nel piacere. Questa cosa che abbiamo smesso di pensare al piacere in cambio del benessere mi angoscia. Tutti veloci, futuristi, carrieristi, tutti al sodo e nessuno che si dedica più al superfluo. Il superfluo invece è importante perché disimpegna e ti permette di fermarti a riflettere con occhio critico e senza pregiudizi.

Grazie Ivo. Ti sono davvero riconoscente dell’affetto e della tua generosità. Grazie ai tuoi figli e a tutti i commensali che hanno condiviso con me questa esperienza.

 

“Un artista non è mai povero.” (Babette)

 

Iacopo

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