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Toscana 2017

“Viva l’amici, il vino e anche l’amici”

 

 

“diffidente nei confronti degli entusiasti,

annoiato dai cinici e dai depressi”

 (Paolo Sorrentino (scusa Nico))

 

Partiamo da Faenza direzione Firenze percorrendo la mitica statale 302 Brisighellese-Ravennate. Si entra in Toscana già a Marradi ma si inizia a respirarla quando si “scavalla” il Passo della Colla. Passiamo per Borgo San Lorenzo e si scherza sul fatto che il primo omicidio targato “mostro di Firenze” sia stato commesso proprio lì -grandi risate che riprodurrò con l’onomatopea “ilvanni”-.

Ci rivediamo molto nei compagni di merende.

Ricordo che Lucarelli, in uno dei suoi tanti speciali, raccontava come la società italiana fosse cambiata in quegli anni proprio grazie a Pacciani and Co. I genitori, per paura che i figli si appartassero in automobile per la cosiddetta “camporella”, facevano finta di uscire di casa o andavano al cinema sottolineando il fatto che se il moroso/a voleva venire a trovarla/o a casa poteva tranquillamente farlo e che loro non avrebbero disturbato perché stavano uscendo. Va bè sto divagando mi faceva solo ridere la cosa e ci stavo pensando.

Dicevamo. Siena, Montalcino, Pienza, San Giminiano, Arezzo, Cortona, sono luoghi a me cari e che ho visitato parecchie volte, complice il fatto di avere tanti amici dell’università da quelle parti.

Mentre mi maledico pensando a quanta Italia non ho visto in favore di più visite in questa regione, la radio parla di tal Gabbani, il quale rischia di vincere il Festival di San Remo con l’aforisma Panta Rei nel ritornello. Che buffo penso. Mi tranquillizzo. In fondo non si può discendere lo stesso fiume più di una volta (bieco stratagemma narrativo citando Eraclito solo per introdurre la FILOSOFIA in questo pezzo – non è successo niente di tutto ciò, tranne la vittoria di tal Gabbani).

Qualche birra mentre ripassiamo un po’ il programma, i disciplinari e le zone che andremo a visitare. [non bevete quando siete alla guida di un’automobile e fari accesi sempre, la prudenza prima di tutto, se c’è la salute c’è tutto ecc ecc].

Ci fermiamo a mangiare “dal Cecchini” a Panzano in Chianti, maledetti voi se non lo conoscete. Personaggio incredibile e vero ambasciatore della carne. Sushi del Chianti, Tonno del Chianti, Cosimino in salsa ardente. Menù di sette portate solo di carne. Toscanità a piene mani.

La prima tappa vinosa è invece Riecine: “Sangiovese made in Chianti”.

Ci accoglie Alessandro. Un grande vero. Enologo, qualche vendemmia in California poi Franchetti, Tenuta Trinoro e ora Direttore Generale ed enologo di Riecine. Cordiale, simpatico, preparatissimo e alla mano, una persona con la quale si entra subito in sintonia. O questo è quello che ho colto io, magari gli siamo stati sui coglioni dal primo secondo.

Passeggiamo per la cantina e Alessandro spazia dalla storia della tenuta, all’architettura con i nuovi interventi esterni e interni, dalla filosofia (un’altra volta) alle tecniche di cantina.

Ci racconta che il fondatore è John Dunkley, un signore inglese il quale, con la moglie Palmina Abbagnano (sì figlia di quel Abbagnano, e un’altra volta arriva la filosofia), acquistarono gli originali 1,5 ettari di terra nel 1971 dal confinante monastero di Badia a Coltibuono. La prima annata di Chianti Classico è il 1973, messa in commercio nel 1975.

Carlo Ferrini enologostar, consulente e amico di John, decise insieme al Patron di non utilizzare il Cabernet, sebbene ne fosse possibile l’uso nel disciplinare della D.O.C.G. Questo rifiuto venne ribadito dallo stesso John il quale affermò che: “Quando il barone Philippe de Rothschild pianterà il Sangiovese, io mi convertirò al Cabernet Sauvignon”.

Nel 1991, John e Palmina, assunsero Sean O’Callaghan, enologo di Riecine fino alla scorsa estate quando lo stesso ha passato il testimone proprio ad Alessandro. La proprietà è cambiata, ma con Alessandro si avverte un filo conduttore di continuità e, allo tempo stesso, di modernità che apprezziamo molto.

Ci parla delle innovazioni che sono coincise anche con il suo arrivo. Nella nuova cantina trovano spazio 12 nuove vasche di cemento non trattato “Nomblot” della capacità di 55 ettolitri, 4 vasche tronco-coniche Grenier di rovere della capienza di 30 ettolitri, un nuovo tavolo di selezione per le uve e tutto l’occorrente per una vinificazione ottimale come sistemi automatici per il controllo delle temperature ed umidità. I vini sono frutto di una selezione manuale e tutte le tecniche di coltivazione sono al 100% organiche e supportate da processi biodinamici. I trattamenti quindi sono ridotti al minimo e non si utilizzano diserbanti o insetticidi.

Andiamo nella nuovissima sala degustazione con vista sulle colline del Chianti.

Si chiacchiera di tutto con Alessandro anche di Never Wine Alone e ci dà preziosi consigli di cui faremo tesoro. Parliamo di distribuzione ed export management e intanto i tappi saltano: il rosato Palmina, l’Igt Rosso Toscana Riecine di Riecine, il Chianti DOCG e per concludere il possente “La Gioia”, il “supertuscan” della tenuta, che ricorda i migliori bordolesi.

Il Sangiovese (naturalmente) è il principe indiscusso.

La mia mente, i miei sensi vengono rapiti dall’Igt. 100% Sangiovese proveniente da un terreno calcareo-argilloso. La vigna, a regime biodinamico, è posta a 500 s.l.m nel comune di Gaiole in Chianti. Le viti hanno un’età media di 45 anni e l’attenta selezione porta ad avere una resa di 20 hl/ha. La raccolta è manuale ed avviene nel periodo di ottobre.

Le uve vengono pigiate delicatamente e poi fermentate in bin aperti o in vasche di cemento Nomblot. Dopo circa 40 giorni di macerazione la vinaccia è delicatamente pressata. Invecchiamento di 36 mesi, quasi esclusivamente nelle medesime vasche di cemento ed in tonneaux usate.

Il vino si presenta di un rosso rubino che non invidia nulla ai più affascinanti borgognoni, con un corpo brillante e ricco di tonalità profonde di frutti rossi, supportate da una bella mineralità. Alla vista e al naso ha nobiltà e understatement. Palato proprio borgognone: sciolto, profumato, agrumi, spezie tra cui un pepe dolce, una punta di affumicamento. Un tannino già cesellato. Alessandro è sicuro che questo rosso non abbia alcuna difficoltà ad arrivare tranquillamente oltre al 2030. È commovente il fatto che sia un vino già bellissimo ora e allo stesso tempo, ad ogni sorso, ti cresce la consapevolezza che diventerà stupendo aspettando qualche anno.

Alessandro ci stringe la mano e ci invita a tornare. Per favore andate a conoscerlo. È davvero un’esperienza sia per la sua preparazione sia per il suo carattere e l’umanità che ti trasmette.

Salutiamo e ci dirigiamo da Giovanna Morganti e dalla sua “creatura”. Podere Le Boncie a Castelnuovo Berardenga.

Una premessa. Per quanto mi riguarda penso che la mia generazione sia stata colpevolmente bombardata per anni da ipocrite esaltazioni di spontaneità e autodeterminazione che hanno fatto più danni che l’eroina per le generazioni precedenti (sta uscendo Trainspotting 2 e siamo carichi). “Sii te stesso, non scendere a compromessi”. (escluso naturalmente se sei immigrato, tossicodipendente, pedofilo, e se sei una persona che dice: “Bazinga” aggiungo io).

Ho sempre ritenuto tali affermazioni insopportabilmente vuote e retoriche.

Ecco con Giovanna queste mie certezze vacillano.

Giovanna è Giovanna e Le Boncie sono Giovanna e Giovanna è Le Boncie. (ma cosa diamine sto dicendo???)

Ci accoglie con una gentile autorevolezza. Carismatica, risoluta.  Dà l’idea di essere una di quelle rarissime persone che parla solo se interpellata. Seria ma non seriosa.

Iniziamo a passeggiare tra le vigne quando il sole sta tramontando e Giovanna inizia subito a prenderci in giro per il nostro Sangiovese di Romagna che proviamo, per quanto riusciamo, a difendere. Prende in giro il mio amico di Arezzo (sì Gianluca sempre quello dell’articolo di Bordeaux…non lo avete letto????) prende in giro anche sé stessa. In vigna ci muoviamo tra viti ad alberello. Dice che è un richiamo al bello in favore della longevità della pianta (come darle torto, anche in Borgogna la viticultura è nata ad alberello, ricordate i greci, no?? – non poteva che essere un articolo a base filosofica), un richiamo quindi anche alla tradizione. Ci parla del limo e del fatto che non crede al “purismo”. Troppo ambizioso il progetto di un vino monovitigno e lontano dalla sua filosofia(!!!!!!!) di viticultura.

L’hanno vista in lacrime la scorsa estate tra le sue vigne colpite dalla grandine (per ben due volte) e c’è una grandezza in questo. Conosce la sua terra e ha una cura maniacale di ogni singola pianta, lo si percepisce da come guarda amorevolmente ogni ceppo. Nessuna selezione in cantina, ma solo un’attenta cernita fra i filari.

È un onore per noi quando, nella “barricaia”, estrae il vino direttamente dalla botte e ce lo fa assaggiare.

I suoi vini sono Il 5 e Le Trame. Sono rossi a dominanza sangiovese con un sapiente taglio di Colorino, Foglia Tonda e Mammolo (che ci fa assaggiare dalla botte). Ci sono immancabili i frutti rossi e un vasto universo fatto di spezie ed erbe aromatiche fino ad arrivare a sentori più mascolini, financo animali.  Stiamo parlando di vini ancora in affinamento ma in bocca sono già ricchi e vivaci, con un bel corpo e un’acidità sostenuta che li rende longevi e di una bevibilità difficilmente riscontrabile in vini tanto giovani.

Per la serata ci affida una bottiglia di Le Trame 2011 per accompagnare la cena, una vera Signora. Non vedo l’ora di degustarlo.

Giovanna, che ha rifiutato la DOCG ed il Consorzio Chianti con tutte le conseguenze che ciò comporta in termini di immagini e canali preferenziali di distribuzione. Accollandosi peraltro l’inimmaginabile rottura di coglioni di vedersi declassare a luogo comune del “per forza contro” da nobilitare con pasoliniana ipocrisia da simpatici “giornalisti” che superficialmente considerano i vini de Le Boncie “ideologici”. Scaltri questi, che hanno capito perfettamente il momento storico e che, invece che dedicarsi al teatro per esempio, in mancanza di talento, preferiscono dedicarsi alla critica teatrale: distruggere è più comodo, più divertente e perfino più gratificante del costruire, che comporta sacrificio, studio, rischio di esporsi al ridicolo e al dileggio. E a Giovanna va bene così perché anche lei ha bene in mente Eraclito quando afferma che avere cultura non significa essere intelligenti e Le Boncie tengono lontano qualsivoglia certezza o formula magica perfetta; sia in noi che degustiamo e riscopriamo modi di fare vino diverso con risultati straordinari, sia nella stessa Giovanna che così facendo si rimette sempre in gioco.

Mai un vezzo, mai un’arroganza nonostante le idee. Non ha bisogno di giustificarsi o di smarcarsi dalla massa, non ha bisogno di curriculum (che è la cosa più volgare che abbiamo bisogno nella nostra biografia).

Non riproducibile e autentica.

Ecco un termine che mi viene in mente ascoltandola e che per noi è un elemento fondante: riproducibilità.

Perché firmo cambiali per un determinato vino o per andare a cena in quel ristorante stellato? Perché quel vino, quella preparazione gastronomica non è riproducibile e mai uguale a sé stessa. Le cose semplici, facili, scontate, quelle sono riproducibili in serie. Perché un ristorante stellato costa tre volte rispetto ad un ristorante normale? Perché rispetto ad un fast food o rispetto ad un ristorante di fascia inferiore – che sia di prezzo o di qualità –  e lo dico senza alcuna elitarietà (adoro le trattorie) – è che le preparazioni nei ristoranti stellati non sono riproducibili e non sono costanti. Sono creazioni uniche ogni volta.

La costanza nei vini come nei piatti è morte. I piatti sempre uguali, perché facili da riprodurre, i vini che in tutte le annate presentano le stesse caratteristiche grazie ai “ritocchi in cantina” sono la morte. Uno chef come un vigneron quando è serio, cerca la costanza dell’esperienza e mai la costanza del gusto. Sarebbe letale. Tempi moderni, la catena di montaggio, i giorni tutti uguali gli uni agli altri sono morte. Perché le annate sono diverse, perché ogni momento non è uguale ad un altro (ricordate Eraclito all’inizio?). Così come non è riproducibile l’eleganza e questa Signora ne è la piena dimostrazione.

Giovanna non fa un vino ideologico. Fa il suo vino e il vino che rappresenta quel territorio, spettinato (come vorrebbe lo fossimo un pochino anche noi).

Uno degli incontri più importanti che abbiamo avuto il piacere di fare in questo variegato mondo. Grazie davvero.

Salutiamo e andiamo verso Siena dove passeremo la serata.

I nostri amici, non si sa per quale ragione, nonostante ci conoscano da tempo, ci danno comunque ospitalità. Riprendiamo un po’ le forze e andiamo a cena al ristorante Boccon del Prete.

Gran bella cena. Bevute importanti e quel Le Trame 2011 che ci riporta alle parole di Giovanna e al concetto di resilienza: sangiovese (affiancato da Mammolo, Colorino e Foglia Tonda), il vino più rappresentativo di Giovanna Morganti. Vinificato con fermentazioni spontanee con lieviti indigeni in piccoli tini tronco-conici aperti da 500-700 litri per circa 15/20 giorni, senza controllo della temperatura, con brevi macerazioni. Affinato in botte grande di diversa capacità per 18-24 mesi prima dell’imbottigliamento.

Impenetrabile, chiuso a doppia mandata e di grande complessità e stratificazione aromatica (tutto il varietale sottobosco, china, sento anche la soia). Tannino importante di grana grossa, non certo femminile, che però fa il suo dovere e stoppa una salivazione data da un’acidità svettante; in bocca ritornano i frutti di bosco e una nota minerale piacevole. Bellissima bevuta e soprattutto non scontata come non lo è Giovanna.

Con tutto il vino che -ahinoi- ci è toccato degustare, il “livello si alza” e ci dirigiamo verso Piazza del Campo ad un locale della movida senese (e rido scrivendolo).

“Vuoi un drink o una merda?”. Sono confuso e spaesato. Nel gergo senese una “merda” equivale a shot. E si torna tutti sedicenni.

Si avvicina al banco un ragazzo che, con fare deciso e compiaciuto, chiede una Du Demon a testimonianza della sua bukowkiana dissolutezza. Sommo sbigottimento. Chiedo un Gin Tonic – a testimonianza della mia maxpezzaliskiana adolescenza – e vedo che il barista non mi degna di uno sguardo, tutto preso a dimenarsi come un demente e intrattenere tre trentacinquenni di quelle che cercano il vero amore tutti i giorni tranne il venerdì sera dopo il quarto coca&rum.

Mentre aspetto e osservo, accade una cosa classica per dei locali con avventori che si avviano al triste traguardo dei 30/40 anni (cioè la morte). Entrano due ragazze mooooolto giovani e un gruppo di baldanzosi autoctoni iniziano a scommettere sull’età delle suddette ragazze. Scena da copione: “ma sai che c’avranno 15 anni in meno di noi” “potrebbero essere delle duemila” e altre gioviali battute di umorismo osservazionale sui rudimenti delle sottrazioni applicate al calendario gregoriano che trovo invero originalissime.

Il “barista” con barba e ciuffo fintamente spettinato mi appoggia il bicchierone di plastica bagnato davanti agli occhi rubandomi repentinamente lo scontrino e continuando a ballare. Mi rendo perfettamente conto che, in un contesto culturale in cui si sta attentando alle più solide fondamenta della semantica, confidare in un’univoca corrispondenza tra significanti e significati sarebbe un’imperdonabile ingenuità, ma vedi demente, questo non toglie che io ti avevo ordinato un cazzo di Gin Tonic. Se avessi dedicato la metà del tempo che hai utilizzato per decidere il tuo outfit allo specchio per prepararmi il cocktail ora ti sorriderei bonariamente e potremmo anche diventare amici.

Usciamo a bere per evitare le fastidiose note di cantori iberici belli ma non bravi.

Aaaaaaah Piazza del Campo. Che splendore. Come sto bene. Stiamo proprio bene. Insieme. L’amicizia, l’introspezione, o magari solo merito del secondo Gin Tonic che scorre veloce (in aggiunta a quei due litri e più di vino che abbiamo bevuto tra le varie cantine e a cena).

Passeggiamo per una Siena non affollata e ci fermiamo a bere un caffè e un amaro (per non dimenticare che in fondo veniamo sempre dalla provincia) in uno di quei locali col nome da sottoproletariato post-industriale, in cui naturalmente galleggiano rappresentanti emeriti dell’intellighenzia senese che indossano Oliver People con montatura a tartaruga a cialtronesco vessillo delle loro patetiche velleità intelletual-hipster.

La serata continua in un altro locale dove ricordo musica, sicuramente sudore e danze non proprio coordinate. Le immagini sono sfuocate e indefinite quindi meglio non avventurarsi.

 

-L’indomani-

Ci svegliamo con piglio buono (cioè caffè e ibuprofene) per recarci, maledetti noi tristi rappresentanti di questa società spettacolarizzata, egoista ed egotica, da Antinori, cantina di nuova costruzione, fiore all’occhiello della suddetta Famiglia.

Arriviamo in località Bargino. Opulenza e meraviglia.

Visita guidata, magistralmente guidata dalla simpatica Gaia (ma potrei sbagliarmi) che si pone subito in maniera molto informale, cercando di mitigare la sensazione di distacco nobiliare e maestosità che suscita la cantina già dal parcheggio (hanno una mappa dei parcheggi!!!!!!).

Anche il video introduttivo sulla storia della Famiglia Antinori prova a svolgere lo stesso compito con una famiglia che raccoglie l’uva cantando e ridendo (manco la Mulino Bianco) ed i bambini che imparano i valori della vita e l’umiltà toccando la terra delle vigne (ma perché????) sotto lo sguardo dei severi genitori – siamo schifosamente ricchi ma non credere che non farai la gavetta anche tu….magari a New York ma la farai –  e con le sorelle tredicenni in cerca di complicità materna, con il Conte in persona – una magistrale interpretazione del campagnolo che si autodefinisce “vinattiere” -. (Mah).

La cantina è splendida e la visita piacevole: molti video, ambienti diversificati ed una guida ben preparata. Impeccabile, come lo è la cantina: non si può che riconoscerlo. Le immagini forse parlano più del mio stupore.

Tre degustazioni al termine della visita. Sulla prima davvero non mi esprimo.

Interessanti invece sono:

_ Chianti Riserva Toscana Rosso IGT Villa Antinori. Sangiovese 55%, cabernet sauvignon 25%, merlot 15%, syrah 5%. Un rosso rubino intenso e denso. Spicca la marasca, i lamponi, le amarene e le ciliegie nere, sentori poi seguiti da sfumature vegetali ed erbacee e dai toni di spezie dolci e cacao amaro. Una trama tannica importante ma non invadente con una bellissima lunghezza.

_ Maremma Toscana Syrah DOC 2012

Un syrah in purezza (e questo lo apprezzo forse perché apprezzo tanto il vitigno e spesso gli perdono anche qualche inesattezza). Elegante e intenso sia all’analisi visiva che olfattiva. Frutta rossa e nera e fieramente e finemente speziata. Corposo e scalpitante al palato, con una trama tannica energica e lunga in persistenza.

Si torna verso Siena confrontandoci sulle differenze e le incongruenze tra i diversi produttori e i diversi approcci sia agricoli che commerciali che questa terra ci regala. Noi siamo romagnoli, siamo mezzadri, anche nel mondo del vino attuale, siamo i mezzadri delle altre regioni; ci piace così.

Per la cena andiamo in una splendida cantinetta con taglieri di salumi affettati, formaggi e crostini dove, a differenza della sera prima in cui i discorsi erano più ludici e disimpegnati,  si parla  di psicologia/educazione infantile/famiglia/filiazione/droghe sintetiche.

Una serata più lenta e introspettiva. Questo nettare sublime ha stregato anche i nostri animi…che dire: penso di essermi prolungato anche troppo.

Ci vuole una chiusa di effetto adesso che però non ho. Continuando in questo mood filosofico il solito Eraclito ci ricorda che in un cerchio ogni punto d’inizio può anche essere un punto di fine. Penso a noi, alla Toscana, al Chianti, a Giovanna ad Alessandro, alla Famiglia Antinori e alle persone che abbiamo incontrato in questa due giorni. Bisogna solo capire a che altezza ci poniamo e da che punto di vista guardiamo questo cerchio ricordando, prima a noi stessi, che la verità, se esistesse, non si troverà se non si è disposti ad accettare anche ciò che non ci si aspetta di trovare.

Ciao Alessandro e Ciao Giovanna – Grazie ancora.

Che brutta chiusa.

-Lunedi mattina-

Si rientra a casa un po’ nostalgici e un po’ preoccupati per i giorni che verranno, la classica ansietta post momento piacevole “non dovuto” (e chi lo decide cosa è dovuto?)

“Che bello che è il mondo del vino no?”

“eh sì molto…peccato avere solo questi sprazzi”

“davvero”

“……….”

“………..”

“….magari quando saremo grandi….”

“………..”

“Ma che vorresti fare nella vita?”

“oddio non saprei, che giorno è oggi?”

“lunedì”

“il parrucchiere.”

A presto e comunque “a voi non vi si caca” (ciao Eli).

 

 

Iacopo

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