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foto di copertina di Andrea J Ceroni – Pieve Thò già Pieve in Ottavo

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“Io sarei anarchico se fossi infelice. Ma non ho niente di cui lamentarmi. Come si potrebbe essere al tempo stesso anarchici e soddisfatti?”

Jules Renard

Incursione estemporanea.

La mattinata è uggiosa in questo sabato di febbraio. Sono in compagnia di Daniele e Massimiliano. L’idea è quella di una piccola ricognizione romagnola, assaggiando le ultime annate da tre zone differenti: Brisighella, Modigliana e Castrocaro.

 

Atto I

Vigne dei Boschi – Paolo e Katia Babini – Solarolo/Brisighella (RA)

 

 

Iniziamo con un caro amico vignaiolo. Ci sistemiamo comodi nel salotto di Paolo, nella casa a Solarolo, con le figlie pronte ad uscire per i loro impegni e Katia pronta ad accompagnarle, ma non prima di averci scaldato delle piadine. Benvenuti in Romagna.

Paolo è timido e cortese, cauto nei giudizi – soprattutto verso sé stesso – e con un sorriso fanciullesco di chi ancora si diverte e vuole continuare a fare vino come fosse il primo giorno, a dispetto delle tante vendemmie passate. Ci mostra con orgoglio VERTICALE Magazine, il nuovo progetto editoriale di Nelson Pari, Jacopo Cossater e Matteo Gallello, in cui vengono riportate tante suggestioni dall’annata 2003 all’annata 2016.

Parliamo di progetti vecchi e progetti nuovi e il lato nostalgico di Paolo si confonde e si completa con l’entusiasmo per quello che verrà. È vulcanico nell’approccio. Prima di essere vignaiolo si occupava di grafica. La sua epifania è l’incontro con Gian Vittorio Baldi, regista e produttore cinematografico, produttore anche di Pasolini, nonché volto della rivoluzione romagnola di Castelluccio. Paolo e Katia fondano Vigne dei Boschi nel 1989, primi imbottigliamenti nel 2000 ed oggi, insieme, curano circa 7 ha di vigna. Paolo oramai ha una mano esperta, conosce i territori, i suoli e sa leggere le stagioni.

Andiamo all”assaggio degli ultimi millesimi imbottigliati dei due vini più iconici di Vigne dei Boschi – veri e propri caposaldi, oramai divenuti dei classici per la Romagna – per importanza e continuativa qualità espressa.

Monterè 2019 danza tra profumi di erbe aromatiche, erbe balsamiche, agrumi e frutta candita, con una scodata salmastra che rinfresca il palato. Poggio Tura 2016 ha un naso in divenire tra la violetta, ciliegia, cuoio e mirtillo. Bellissima tensione ed equilibrio.

L’Albana per Paolo rappresenta lo zenit della sua vita da produttore. Per sua esperienza è forse il vitigno che più rappresenta l’animo anarchico romagnolo: ogni frazione (nemmeno ogni paese) ha regole e abitudini proprie, dal modo di chiudere un cappelletto, se e come proteggere il Passatore o anche come provare ad uccidere un Re d’Italia.

Ed ecco le nuove etichette: I Roncati in appennino – Rio Val Piana 2018 Rio di Rigozzano 2018, in attesa di una terza albana ancora non imbottigliata.

In questi vini c’è tutto il desiderio di Paolo e Katia di farsi custodi e lettori di territori molto diversi tra loro. Sono vini di animo contadino senza masturbazioni stilistiche, e rappresentano perfettamente cosa significhi fare vino in appennino. Un appennino di luce bianca e di scintillante mineralità. Al naso la ginestra, il burro salato, una suggestione di tartufo bianco e mallo di noce. Un’acidità fremente, elettrica di piccoli agrumi, tra lime e bergamotto. La bocca si articola maggiormente, con i suoli argillosi a trasmettere più polpa e orizzontale grassezza ed i gessi a conferire più verticalità e stratificazione.

 

Ci congediamo, ma prima di salutarci, Paolo estrae un flacone senza etichetta dal frigorifero e sorridendo sornione, ci versa nei bicchieri un liquido scuro. Uno struggente Vermouth, nato dalla collaborazione con Oscar Quagliarini, da Albana in purezza e infusione di fava tonca, artemisia, elicriso e cedro. Un’ira di Dio. Meraviglioso.

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Brisighella sta molto bene.

 

Atto II

Il Pratello – Emilio Placci – Modigliana (FC)

 

 

Ci lasciamo la pianura alle spalle e iniziamo a inerpicarci verso Modigliana per pranzare da Emilio Placci de Il Pratello.

Emilio può essere considerato il padre putativo della Romagna vinosa. Il grande saggio, fuoriclasse assoluto. Sono sempre restio a complimentarmi con Emilio perché credo che tutto questo parlare di lui non gli faccia piacere. Nelle ore trascorse insieme mi dà l’idea di non volere attenzioni su di sé. Fabrizio De André sosteneva che i cantautori scrivono canzoni proprio per non dover spiegare nulla. Ecco, credo che Emilio preferisca far parlare il vino in sua vece e tanto gli basta. Perché sono vini che non hanno bisogno di spiegazioni o didascalie o peggio ancora di giustificazioni. La stoffa e la classe sono indiscutibili.  E dire che di attenzione su di sé (suo malgrado), se ne è attirate tante quando, nel 2020 Walter Speller, dalle pagine di Decanter, incorona  “Il Mantignano” de Il Pratello come miglior Sangiovese d’Italia e lo issa sulla vetta più alta, al di sopra Biondi-Santi, sopra Il Marroneto ecc. ecc., assegnandoli il punteggio più alto tra i Sangiovese italiani.

Emilio con la sua proverbiale ospitalità e generosità ci apre Calenzone 2001 e il Badia Raustignolo 2007.

Sono vini di potenza e di intatta tessitura. I sentori sono cupi, boschivi, di profondità abissali e austerità. Sono vini risoluti, che vivono di dinamiche lente, che si aprono con tempi propri e forse in questo rispecchiano Emilio. Un Calenzone in stato di grazia con un universo tra la torrefazione, il cacao amaro, suggestioni di tabacco e note ematiche. Badia Raustignolo è riservato, ha un sorso imponente con un’acidità mentolata, ricordi di affumicatura, resina e frutti neri al forno.

Siamo spettatori privilegiati di una Romagna che non vuole rinunciare a se stessa,  che non vuole abdicare ad essere sterile imitazione inseguendo uno stile preconfezionato e artificioso, utile solo ad un mercato sempre più frenetico e insensato.

 

Insieme ad Emilio c’è Giorgio Melandri.

Giorgio diversamente da Emilio è più abituato ad avere i riflettori puntati addosso, un po’ per scelta e un po’ penso, perché dotato di finissima lungimiranza, che gli permette di leggere le situazioni in anticipo rispetto alla moltitudine, attirando curiosità, fiducia e l’interesse di molti. Ora Giorgio credo stia vivendo una fase di transizione, stanco di stare davanti alle cose, o al centro dell’attenzione. Penso ora gli piaccia più stare nel mezzo, dove le cose accadono, pronto ad osservarle. Non ha l’egocentrismo del divo ma più la curiosità del viaggiatore, soprattutto da quando vinifica in quel di Modigliana.

Produce tre etichette già cult nel panorama romagnolo e non solo. Ne abbiamo assaggiate due, una accanto all’altra: il Mutiliana Tramazzo 2015 e Acereta 2015.

Lo scopo di Giorgio è quello di fare conoscere le diverse anime di Modigliana. Tramazzo è la vallata con terreni di marne ed arenarie con una piccola quanto significativa presenza di argille rosse. Il 2015 ha un naso balsamico e di macchia mediterranea, con erbe aromatiche che sfociano nell’elicriso. Vino affusolato e sottile di grande lunghezza e meraviglioso understatement. Acereta è la valle con i suoli più argillosi e concessivi. Il 2015 è sferico, più tridimensionale rispetto al Tramazzo, generoso e carnoso nel medio sorso. C’è la polpa di frutti rossi e financo il melagrana, con un finale più verde e boschivo. Due vini che rispecchiano fedelmente nel bicchiere le valli da cui sono stati generati.

 

Il pranzo poi è stato meraviglioso. Un prosciutto di cervo da sogno, pappardelle con ragù di capriolo e stinco di cinghiale con una polenta di grani antichi. Insomma si è mangiato e BEVUTO generosamente, e non essendo in grado di farne una cronaca fedele, preferisco desistere e proseguire oltre.

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Modigliana sta molto bene.

 

Atto III

Marta Valpiani – Elisa Mazzavillani – Castrocaro (FC)

 

Discese, salite, risalite e discese e Battisti e poi arriviamo da Elisa.

Castrocaro ci accoglie al tramonto. La Castrocaro che ha dato i natali a “La Frasca” della famiglia Bolognesi, e che da qualche anno può fregiarsi di avere tra le proprie file una bravissima vignaiola: Elisa Mazzavillani figlia di Marta Valpiani.

Elisa mi da l’idea di essere una giovane donna tenace, rigorosa e con le idee chiare, che riesce a mettere a fuoco velocemente le situazioni; è inoltre è una bravissima degustatrice che assaggia tanto e sa cosa le piace.

Iniziamo con le sue albane anarchiche perché, dice Elisa, “l’albana è anarchica come la Romagna”.

Delyus 2020 Madonna dei fiori 2020. Il primo da suoli di arenaria, danza tra suggestioni di camomilla e thè nero, con un’acidità tesa, vibrante e costante. Un vino verticale con sorso agrumato e sapidità salmastra. Il secondo da suoli di roccia arenaria più “spugnosa” il cosiddetto “Spungone” è un vino più accogliente e concessivo con un naso di di fiori gialli e bianchi e un sorso che richiama la pesca,  l’albicocca e gli agrumi canditi.

 

E poi arrivarono i Sangiovesi. In “rosso” Elisa ricerca il ricamo ed il dettaglio, senza forzature e barocchismi. Vini di trasparenze e leggerezze.

La Farfalla 2020, da suoli di argille azzurre è un vino didascalico: giovane e quotidiano per definizione che non ricerca la complessità. Gioioso e spensierato ma allo stesso tempo preciso, con un’universo di piccoli e croccanti frutti rossi e neri.  Il Romagna Sangiovese Superiore 2019 ha un ritmo diverso. E’ un vino luminoso e accattivante, più concessivo e godurioso rispetto a Farfalla. I frutti virano verso un sottobosco di frutti neri da rovo, con la mora e il lampone selvatico. Il sorso ha grande proporzione ed equilibrio. Crete Azzurre: sangiovese dalle argille azzurre e Spungone. Un vino complesso e profondo, capace di accordare il territorio con il varietale. Un universo di sentori che vanno dalla frutta matura, alle erbe aromatiche come la salvia e l’origano, e qualche spezia dolce come il pepe bianco. Il vino tra tradizione e new world, tra rusticità romagnola e disincanto 2.0, un vino tra due mondi.

Elisa è più giovane di Paolo, di Emilio e di Giorgio, ma già ora riesce a coniugare l’Albana e il Sangiovese, il non interventismo – che sia in vigna o in cantina – con una precisione e una rigorosa pulizia di notevolissimo pregio e fulgido avvenire.

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Castrocaro sta molto bene.

 

Rientrando a casa, penso all’atipicità dei romagnoli e della Romagna vinosa, così stretta tra grandi cooperative e piccoli e virtuosi vignaioli, con stili molto differenti.

Gli approcci di Paolo, Emilio, Giorgio ed Elisa sono diversi, e spiegano perfettamente l’anarchica filosofica della regione. Le zone sono diverse e raccontano la multiforme ricchezza di una regione in divenire per definizione, tra la piatta battigia e il ruvido entroterra. L’età dei vignaioli sono diverse e rappresentano equamente una consolidata old school, insieme ad un nuovo corso, segnalando il ricambio generazionale romagnolo.

Una miscela variegata tra una malinconica nostalgia e una futuribile contentezza. “Uguale a quell’accordo in minore, che attacca la strofa di “Romagna mia”. Semplice come la contentezza di quando poi dopo il ritornello passa in maggiore.”

 

 

“Con tutti i libri che ho in casa mi mantengo saggiamente ignorante, nel senso che li temo pur essendone attratto: spero sempre di riuscire a leggerli tutti ricordandone nessuno, così, tanto per conservare lo stupore dell’esordiente, giammai la putrescenza dell’erudito”

 

Iacopo

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